Dopo il crollo del viadotto Morandi si sono aperte numerose questioni che necessitano di attente riflessioni e di drastici cambiamenti. Una di queste è il codice deontologico degli ingegneri.
Esaminando le regole deontologiche degli ingegneri, si ha la sensazione che siano fatte più che altro per tutelare i committenti e per evitare che la categoria possa mai essere messa in discussione, obiettivo raggiunto frapponendo una nutrita serie di inutili paletti deontologici alla attività professionale.
Il codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, ed attualmente in vigore (reperibile qui), è una lettura sorprendente per chi non l'abbia ancora fatta e voglia calare queste regole nella trafila degli accadimenti che hanno preceduto il crollo del viadotto Morandi.
Invano si cercherebbe una regola, da mettere certo tra le prime, che imponga all'ingegnere che per qualsiasi motivo sia venuto a conoscenza di una situazione pericolosa di darne immediata notizia alle autorità competenti. Al contrario, si trova una fitta rete di paletti che induce a più miti consigli chi avesse mai un simile desiderio.
Io credo che questo codice deontologico debba essere immediatamente cambiato. Il primo dovere di un professionista competente che si imbatta in una situazione pericolosa, per qualsivoglia motivo, anche al di fuori di un incarico professionale, deve essere dare immediata notizia del potenziale pericolo (anche ad una autorità pubblica, non solo ai proprietari o responsabili). E dovrebbe essere messo a punto un registro di queste segnalazioni. L'esistenza di una segnalazione inascoltata dovrebbe essere aggravante per i responsabili in caso di crollo.
Non si può ragionare in termini di concorrenza quando c'è di mezzo la sicurezza. Invece, il codice dà proprio questa impressione.
Ancora
oggi manca, nella formazione dell’ingegnere, e nei suoi doveri deontologici, una indicazione sul comportamento da assumere quando per fondati motivi ritenga che esista un qualche pericolo, anche in assenza di uno specifico incarico. Solo al punto 18 dell’attuale
codice deontologico del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (dico diciotto) si
legge (corsivo mio)
L’ingegnere è personalmente responsabile della propria
opera nei confronti della committenza e la sua attività professionale deve essere svolta tenendo conto preminentemente
della tutela della collettività.
Mentre, ben prima nel documento, è ben
chiarito che un professionista non può mettere in cattiva luce un collega o la
categoria. Nella sezione relativa ai doveri, al primo punto leggo (par. 3.1):
L’ingegnere
sostiene e difende il decoro e la reputazione della propria professione.
Cosa che infatti sta accadendo in questi
giorni, in cui il mondo professionale sembra più interessato alla difesa corporativistica
della professione che all'accertamento della verità dei fatti. Ed ancora leggo:
L’ingegnere deve mantenere il segreto professionale
sulle informazioni assunte nell’esecuzione dell’incarico professionale.
L’ingegnere è tenuto a garantire le condizioni per il
rispetto del dovere di riservatezza a coloro che hanno collaborato alla
prestazione professionale
E leggo ancora:
L’incarico professionale deve essere svolto
compiutamente, con espletamento di tutte le prestazioni pattuite, tenendo conto
degli interessi del committente.
E bisogna stare molto attenti a criticare i
colleghi:
L’ingegnere deve astenersi dal porre in essere azioni
che possano ledere, con critiche denigratorie o in qualsiasi altro modo, la
reputazione di colleghi o di altri professionisti.
Ed inoltre:
In caso di subentro ad altri professionisti in un
incarico l’ingegnere subentrante deve fare in modo di non arrecare danni alla
committenza ed al collega a cui subentra.
Come sarebbe possibile per il
professionista Rossi, porre rimedio ai guai del professionista Verdi? E per quale motivo se Verdi ha fatto gravi errori, si è dimostrato incompetente o temerario, Rossi dovrebbe evitare di danneggiarlo? Chi tutela questa regola, gli ingegneri competenti o quelli incompetenti (che esistono)?
Questo codice deontologico tutela la categoria ed i committenti, non tutela in modo sufficiente i cittadini. Esso è incompatibile con uno Stato moderno, dove la trasparenza e la circolazione delle informazioni sono fondamentali.
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