Italiano/English
La professione di Ingegnere Strutturista
Recentemente mi è venuto da riflettere su alcuni aspetti salienti della mia professione, per come la ho praticata e la pratico io, e per come la ho vista praticare da tanti colleghi in Italia e all'Estero.
Quando eravamo alle Scuole Superiori e facevamo i nostri compiti in classe, c'erano i Professori che ci correggevano i compiti, segnando con la matita rossa e blu gli errori che facevamo. Ricevendo la correzione, prendevamo visione dei nostri errori e questo ci serviva a imparare.
In casa, io la ho vista usare tante volte, quella matita rossa e blu, perché mia madre, che era nata nel 1929, e aveva vinto molto giovane il concorso per la cattedra al Liceo, la usava spesso: insegnava inglese.
Allora, non ci rendevamo conto, io credo, di quanto ci fosse risparmiato, con quelle correzioni, di quanto quelle correzioni ci sgravassero dal compito di trovarli da noi, quegli errori.
I compiti in seguito sono diventati esami universitari, e anche in quel caso c'era qualcuno, i nostri Professori, che ci dicevano dove avevamo sbagliato.
Quando poi siamo diventati professionisti e abbiamo cominciato a prenderci le nostre responsabilità, non c'era più nessuno a correggerci i compiti, in specie quando lavoravamo da soli a un certo progetto.
La professione di Ingegnere Strutturista, come anche altri tipi di Ingegneria, o altri tipi di professione, mette direttamente a repentaglio la vita delle persone. Da un nostro errore, può dipendere un crollo, possono dipendere delle stragi.
Per questo molti di noi hanno studiato materie complicate, difficili, ed hanno a loro dedicato anni e anni della propria vita, delle proprie risorse intellettuali, delle proprie forze. Per questo abbiamo sbagliato e ci siamo corretti mille volte, per questo abbiamo inciso nel nostro cervello un modo di procedere rigoroso e attento. E non ci basta, no, non ci basta, che sulla noma tal dei tali sia scritta una certa cosa, perché il nostro obiettivo non è essere protetti dai possibili errori, sviste, manchevolezze altrui. No. Il nostro compito è proteggere le vite delle persone che fruiranno della nostra attività professionale.
Ma la nostra professione ha un che di subdolo e di tremendo in più. Se un chirurgo sbaglia a operare gli effetti si vedono subito. Se un pilota di aereo sbaglia una manovra, o un atterraggio, l'effetto è immediato. In quel caso, le decisioni vengono prese in poche frazioni di secondo, e per fare questo, serve un training specifico.
Per noi, è diverso.
Abbiamo in genere tempo, talvolta molto tempo, per decidere, considerare, riconsiderare. E poi, una volta che il nostro progetto, il nostro calcolo, la nostra decisione sono diventati operativi, tutto può ancora succedere, per anni, anni e anni.
E' per questo che molti, come me, dopo aver fatto una cosa, averla controllata e ricontrollata, fatta e rifatta, la notte, non dormono. E si dicono: ma non è che ho sbagliato lì? Ma non è che quel foglio EXCEL, quel programma, quel calcolo, quella operazione, quel modello, è sbagliato?
E così, il disturbo ossessivo-compulsivo di controllare e ricontrollare, di mettere sempre in dubbio quello che si è fatto, di aver timore di aver commesso un errore, e nondimeno di avere il coraggio di andare a controllare, anche quando ormai è tardi, ci accompagna costantemente. Perché sappiamo che un errore noi, non ce lo possiamo permettere.
Né possiamo tirare a indovinare, noi. Ogni cosa, la dobbiamo controllare. Ogni singola cosa. E questo, costa fatica, sacrifici, porta via tanto tempo. Le nostre vite ne sono segnate. Mentre per altri, altre professioni, è diverso. Molto diverso.
Nessuno, di solito, viene a correggerci il compito. Noi dobbiamo correggerci il compito.
E dopo avere visto e rivisto, controllato e ricontrollato, a un certo punto diciamo, dobbiamo dire: è giusto. E' così. Mi assumo la responsabilità di questo risultato.
Non invidio quelli tra noi Strutturisti (se ce ne sono) che non vivono questo tremendo processo di autocorrezione. Non invidio, francamente, la superficialità che forse qualcuno può avere, né i suoi sonni tranquilli. Queste persone, rischiano.
La mia vita di Ingegnere Strutturista è tormentata, come penso quella di tanti colleghi. Sono abituato, per lavoro, a dover cogliere ogni minima sfumatura, a una comunicazione esatta, che non lasci spazio a dubbi, e quando nella vita di tutti giorni questa deformazione professionale emerge, mostrandomi che la maggior parte della gente dice e si contraddice, afferma e nega, senza rendersene conto, e mi mette nella condizione della persona rigida e arida, io non mi arrabbio più.
Un tempo, cercai di convincere la moglie, il figlio, il fratello, che quanto avevano detto non era coerente. Poi, dopo tanti anni, ho capito che io, come molti colleghi, vivo una dimensione particolare.
Io gli errori non me li posso permettere. E se li faccio, nonostante tutto, devono essere rari, e devo poter dire, prima di tutto a me stesso, ho fatto di tutto per intercettare quell'errore. Se mi è sfuggito, forse ne ho la colpa, ma certo, non è stato per superficialità.
Questa, è la mia professione. Una professione di cui sono orgoglioso indipendentemente da quanto la società intorno a me ne ne dia atto, indipendentemente dai guadagni e dai riconoscimenti, che di solito, vanno da altre parti.
Il mio mestiere, è ragionare in modo logico, razionale e non contraddittorio.
Il mio mestiere, è proteggere, direttamente o indirettamente, la vita delle persone.
The profession of Structural Engineer
Recently, I found myself reflecting on some salient aspects of my profession, as I have practiced and continue to practice it, and as I have seen it practiced by many colleagues in Italy and abroad.
When we were in high school and doing our classwork, there were teachers who corrected our work, marking our mistakes with red and blue pencils. By receiving corrections, we became aware of our mistakes, and this helped us learn.
At home, I saw that red and blue pencil used many times, because my mother, who was born in 1929 and had won a teaching position at a high school at a very young age, often used it: she taught English.
Back then, I believe, we did not realize how much was being spared us with those corrections, how much those corrections relieved us from the task of finding those mistakes ourselves.
Assignments later turned into university exams, and even then, there was someone, our professors, who told us where we had gone wrong.
When we became professionals and started taking on our responsibilities, there was no longer anyone correcting our work, especially when we worked alone on a particular project.
The profession of a Structural Engineer, like other types of engineering or other professions, directly puts people's lives at risk. From one of our mistakes, a collapse can occur, massacres can happen.
For this reason, many of us studied complicated, difficult subjects and dedicated years and years of our lives, intellectual resources, and strengths to them. For this reason, we made and corrected mistakes countless times, and we engraved a rigorous and careful method of proceeding into our brains. And it is not enough, no, it is not enough, that a certain thing is written on a particular standard because our goal is not to be protected from the possible mistakes, oversights, or shortcomings of others. No. Our task is to protect the lives of the people who will benefit from our professional activities.
But our profession has something insidious and terrible in addition. If a surgeon makes a mistake in surgery, the effects are seen immediately. If an airplane pilot makes a mistake in a maneuver or landing, the effect is immediate. In those cases, decisions are made in fractions of a second, and for that, specific training is required.
For us, it is different.
We generally have time, sometimes a lot of time, to decide, consider, reconsider. And then, once our project, our calculation, our decision has become operational, anything can still happen, for years and years.
That is why many, like me, after having done something, checked and rechecked it, done and redone it, cannot sleep at night. And we say to ourselves: but didn't I make a mistake there? But isn't that EXCEL sheet, that program, that calculation, that operation, that model, wrong?
And so, the obsessive-compulsive disorder of checking and rechecking, of always doubting what has been done, of fearing to have made a mistake, and yet having the courage to check, even when it is too late, accompanies us constantly. Because we know that a mistake for us is not an option.
Nor can we guess, we must check everything. Every single thing. And this takes effort, sacrifices, takes away a lot of time. Our lives are marked by it. While for others, other professions, it is different. Very different.
No one usually comes to correct our work. We have to correct our own work.
And after having checked and rechecked, at a certain point, we say, we have to say: it is right. It is so. I take responsibility for this result.
I do not envy those among us Structural Engineers (if there are any) who do not live through this terrible process of self-correction. I do not envy, frankly, the superficiality that perhaps someone may have, nor their peaceful sleep. These people are at risk.
My life as a Structural Engineer is tormented, as I believe that of many colleagues is. I am used, for work, to having to grasp every little nuance, to exact communication that leaves no room for doubt, and when in everyday life this professional deformation emerges, showing me that most people speak and contradict themselves, affirm and deny, without realizing it, and puts me in the position of a rigid and arid person, I no longer get angry.
At one time, I tried to convince my wife, my son, my brother, that what they had said was not consistent. Then, after many years, I realized that I, like many colleagues, live in a particular dimension.
I cannot afford mistakes. And if I make them, despite everything, they must be rare, and I must be able to say, first of all to myself, I did everything to catch that mistake. If it escaped me, maybe it is my fault, but certainly, it was not due to superficiality.
This is my profession. A profession I am proud of regardless of how much the society around me acknowledges it, regardless of earnings and recognition, which usually go elsewhere.
My job is to reason logically, rationally, and non-contradictorily.
My job is to protect, directly or indirectly, the lives of people.
Nessun commento:
Posta un commento