In questi giorni dopo il ventiquattro agosto, molte parole sono state dette e scritte, volatili e aeree. Molte le ragioni: protagonismo, sincera commozione, esigenze di lavoro, superficialità, entusiasmo, fede, rabbia.
Occorre pesare le parole. Ad una ad una. Ogni parola deve pesare come le pietre di cui si parla. Come una vita divelta.
Dobbiamo dimenticare, o dobbiamo ricordare? Le parole su di noi leggere, ripetute e ripetibili, mille volte udite e mille volte scandite, aiutano a dimenticare. Dimenticare le ossa spezzate e le vite cancellate. Il dolore, il sangue. Lo scempio. E dimenticare che potrebbe capitare a quasi tutti noi.
Invece, dobbiamo ricordare. Anche quando il tempo sarà passato, e le vicende dei terremotati avranno verosimilmente preso la solita piega di tutti gli altri casi. Senza tetto. Senza casa o scuola. Senza più niente: terremotati. Numeri. Pratiche.
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