venerdì 10 novembre 2017

Diritti d'Autore

 
 
Premetto che parlo a ragion veduta, e sulla base di una certa esperienza: credo di avere le idee piuttosto chiare essendo stato autore, traduttore e curatore.

Scansionare e mettere in internet libri altrui equivale a rubare, o meglio, a devastare con la ruspa. Rubare sarebbe scansionare un libro e tenerlo per sé, per proprio uso. Scansionarlo e metterlo in internet è non grave, gravissimo. I colleghi che sistematicamente compiono questa azione stanno rischiando veramente molto ed al loro posto farei una rapida marcia indietro.
 
Potrei chiedere se chi pensa che i diritti d'autore siano cosa vecchia abbia mai scritto un libro e abbia una idea di cosa significhi. La mia sensazione è che no, non lo sappia. Se lo sapesse, sarebbe più cauto, credo.
 
Un autore può liberamente decidere di diffondere senza oneri la propria opera, ma è una scelta che va in capo a lui, non ad altri.
 
La legge sul diritto d'autore è giusta e sacrosanta, anche se potrebbe essere perfezionata e migliorata.
 
Il concetto di base, comunque, è che esiste la proprietà intellettuale. Alcune delle posizioni espresse ed ahimè praticate postando link, in certi forum, negano di fatto che esista la proprietà intellettuale (questa circostanza, lo dico en passant sarebbe sufficiente a motivare il definitivo abbandono di questi forum, e pace-amen del chissenefrega. Tuttavia vorrei invece cercare di convincere i colleghi a smetterla e per questo ancora intervengo).
 
La proprietà intellettuale si estrinseca in vari modi.
 
Un primo modo è il diritto a vedersi riconosciuto come autore di una certa opera. Questa cosa è fondamentale e spesso copia ed incolla vengono usati per copiare i contenuti (vedi ministro Madia, pare) senza correttamente citare la fonte.
 
Un secondo modo è il diritto a ottenere che l'opera assuma una certa veste. E non un'altra. E che sia fruita in un certo modo, e non un altro. Ad esempio, nel caso dei libri, l'editore concorda con l'autore il titolo, la copertina, e molte altre cose, tra cui se fare o no un eBook. La veste dell'opera è importante, perché un autore non vuole che la sua opera finisca in contesti e modi a lui invisi, in generale. Le eccezioni non fanno regola. Una ripubblicazione sciatta, o irrispettosa dei desideri dell'autore, è una ripubblicazione che viola alcuni dei diritti dell'autore e lede la sua proprietà intellettuale. Non sta a sor Gigio o alla sora Lella decidere se e come l'opera di Mario Rossi debba essere ripubblicata. Appropriarsene per metterla in rete in qualche modo, generalmente sciatto, è oltre a tutto una aperta violazione dei diritti dell'autore a vedere la propria opera pubblicata con la dignità che le è propria o che lui ritiene tale a suo insindacabile giudizio.
 
Un terzo modo è il diritto a vedersi riconosciuto un quid per ogni copia dell'opera. Questo non arricchisce l'autore, di solito, ma ci sono eccezioni e certamente ci sono autori che con i diritti hanno messo al riparo la propria esistenza o quella dei propri cari.
 
Un quarto modo, è il diritto a non vedere inflazionata e decontestualizzata la propria opera. Nel caso della musica questo si capisce bene: si pensi all' autore di una musica che se la vedesse - non per sua scelta - suonata a ripetizione negli spot sino a merdificarla. Analogo ragionamento vale nel caso dei libri, anche se la fruizione è diversa (attiva e non passiva). Un libro messo in rete dappertutto, è un libro svilito e mortificato (ci sono autori ed editori che curano ogni minimo dettaglio, dalla carta al carattere a stampa, dalla copertina alle note, e persino se e come pubblicizzare il libro, e così via).
 
Nel mio caso, alcune mie cose io le ho messe in rete gratuitamente e liberamente (articoli e parti di libri). Altre cose no. I libri interi, no.
 
La giustificazione spesso addotta dai devastatori della proprietà intellettuale è che il sapere debba essere libero. Loro però di solito non si cimentano con l'arduo compito di cercare di dire qualcosa di utile e di nuovo: si limitano a prendere. A volta prendono in modo sistematico e creano siti dove hanno collezionato i loro furti e li esibiscono come una opera meritoria. Ma quando mai? Semmai, costoro, dovrebbero fare loro qualcosa di utile, e non sovrapporsi agli autori e decidere al loro posto. Né il fatto che qualche autore possa ex post essere d'accordo può mutare di una virgola la situazione.
 
Se il sapere deve essere libero, perché la proprietà no? Perché non posso liberamente introdurmi a casa d'altri? E perché la mia immagine, come quella di chiunque altro, non può essere usata senza il mio consenso, a meno che non sia io a renderla pubblica? Sembra che ciò che fa piacere ad un autore lo decida l'improbabile rete. A molti autori non interessa che i loro libri compaiano in rete in siti di saccheggio. Non tutti provano una emozione nel vedere la propria opera saccheggiata e messa pubblicamente a disposizione di tutti in qualche modo.
 
Se il sapere deve essere libero, allora tutti i software dovrebbero essere open source, non dovrebbero esistere più brevetti, proprietà industriale, segreti industriali, e chi avesse fatto una scoperta magari dopo anni e anni di sacrifici (mentre gli altri andavano fuori a divertirsi), dovrebbe mettere in comune il risultato perché tutto è di tutti. O meglio: i vantaggi sono pubblici, mentre gli oneri, i sacrifici, le rinunce, l'intelligenza, le frustrazioni e i rovesci, quelli invece sono privati.
 
Tanto poi la rete applaude. E se all'autore non importasse? Se lui volesse la sua opera come tale, in un libro con la copertina rigida, la carta tal dei tali?
 
La seconda osservazione che viene fatta è che i libri costano troppo. A parte che una delle ragioni per cui costano troppo è proprio la pirateria ed il fatto che di libri se ne comprano pochi, io non sono d'accordo con questa valutazione. Un libro di ingegneria può costare anche 100 euro , ma nelle mani giuste, se è un buon libro, può rendere decine o persino centinaia di volte tanto.
 
E poi se si paragona il costo tipo per un libro, poniamo 40 euro, con il costo per andare a cena fuori una sera, o con il costo di un cellulare o con quanto spendiamo senza troppo lamentarci per altre cose, si vede che la ragione per la quale non si vogliono spendere soldi per i libri è di natura strettamente culturale. Un libro? Eppure, i libri durano più vite, e se sono buoni, possono essere preziosissimi e persino acquistare valore oltre il prezzo di copertina.
 
Si dirà che di libri piace averni tanti. E di vestiti, no? Di scarpe, no? Di case, no? Di moto e macchine, no?
 
Se si prendono 10000 case di italiani e si valuta il numero medio di libri in ciascuna di esse, quale numero medio verrà fuori? Qual è la spesa media per libri in questo Paese?
 
Ciò detto, esistono certamente casi di persone che i libri non possono comprarli perché non se lo possono permettere. In Italia credo siano pochi. Ma ammesso che ci siano, la soluzione non è piratare i libri, ma distribuire soldi pubblici (mille e mille volte sprecati) per sostenere i lettori non abbienti, gli editori e gli autori, dei quali una Nazione progredita ha sicuramente bisogno.
 
La pubblicazione di libri piratati, ancorché vintage, in violazione dei diritti degli autori desertifica interi settori culturali, e rende impossibile la lunga vita di quei libri, che passano da uno status - libro - a un altro - file che gira nella rete-, mutandone per sempre indelebilmente la natura ed impedendone di fatto la ripubblicazione da parte di editori interessati..
 
Mi rivolgo quindi ai colleghi pirati ed anche ai pirati non colleghi perché la smettano, una buona volta.

mercoledì 6 settembre 2017

Cent'anni di inganni

La ragione per la quale nel nostro Paese il rischio sismico non è adeguatamente percepito dalla popolazione, è presto detta. Nessuno ha spiegato alla popolazione i termini esatti del problema.

Per molto tempo il sistema adottato dallo Stato per dirimere la questione è stato quello di redigere delle liste ministeriali nelle quali venivano elencati i comuni sismici, ed il loro relativo grado di sismicità. Tale scelta aveva alcuni importanti vantaggi, e molti svantaggi.

I vantaggi erano quelli di circoscrivere e minimizzare il problema. Gli svantaggi erano legati al rischio, molto alto, che masse enormi di popolazione subivano.

La circoscrizione e minimizzazione del problema aveva alcuni importanti effetti benefici.

  1. Per gli amministratori, consentiva che il problema fosse lasciato marcire, e che un certo laissez faire potesse prendere piede. Dunque, manica larga nella gestione degli abusivismi, manica larga nelle concessioni edilizie, e relativo consenso elettorale.
  2. Per le imprese, consentiva di erigere palazzine una dopo l'altra senza troppo curarsi della preparazione delle maestranze dei materiali e degli stessi progettisti. Infatti, non a caso, la qualità della edilizia del Paese è andata progressivamente scemando, a causa della sempre maggior inurbazione e richiesta di edifici rapidamente da mettere sul mercato.
  3. Per i cittadini, consentiva di acquisire un falso senso di sicurezza, e quindi di dormire sogni tranquilli anche se magari i propri figlioli erano sotto un castello di carte, pronto a crollare alla prima scossa. E quindi consentiva di fare allargamenti, abusivismi, violazioni di norma, senza troppo preoccuparsene.
  4. Per il Paese in generale, consentiva il tumultuoso sviluppo economico del secondo dopoguerra, senza che vi fosse alcun criterio o regola.
  5. Per certi studiosi del passato dei Comuni italiani, consentiva di acquisire il ruolo di Sibille Cumane, ovvero consentiva di avere il ruolo di chi, conoscendo la sismicità storica, poteva, solo sulla base di quella, stabilire se un Comune fosse sismico e meno. Come se su scala geologica 2000 anni fossero sufficienti. Singolare forma di presunzione con risultati, abbiamo visto poi, disastrosi.
Come è noto, il ciclo di norme basato sugli elenchi dei comuni sismici è cessato con la Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri 3274, del 2003. Questa Ordinanza ha mutato il paradigma, cambiando tutto senza cambiare nulla.

Al posto dei Comuni sismici, l'Ordinanza stabiliva che per conoscere la pericolosità di una zona sismica, o di un Comune, o di una Casa, si dovesse fare ricorso a mappe probabilistiche con passo di 5,5 Km. Cosa poi materialmente realizzata con le famigerate NTC 2008, norme altamente errate e profondamente diseducative.

I metodi probabilistici infatti cambiano tutto, perché apparentemente sono basati su metodi scientifici, mentre in realtà non cambiano nulla, perché continuano a sottostimare pesantemente sia la ricorrenza che la severità dei sismi nel nostro Paese.

Ad un attento esame (vedi qui o qui ad esempio), i metodi scientifici scientifici non sono. Si tratta di metodi che io definirei tolemaici, ovvero metodi basati su wishful thinking , modelli accattivanti ma errati, e nessuna verifica sperimentale. E quanto alla sotto stima degli effetti, se ne sono visti chiaramente gli esiti in Emilia, in Centro Italia, e a l'Aquila.

Nonostante tutte le evidenze dicano che i metodi probabilistici sono errati, questi rimangono nelle nostre norme, perché, oltre a fare il bene di un gruppone di happy few che altrimenti sarebbero spazzati via (intendo: ricercatori, professori, consulenti, funzionari e dirigenti che sui metodi probabilistici hanno costruito le loro carriere), le norme probabilistiche continuano ad assolvere al compito di sottostimare il rischio, così facendo l'utile lavoro spiegato in 1), 2), 3), 4) e 5.

E' da notare che il rischio non è rimasto costante negli ultimi cinquecento anni. Non è che le cose siano oggi come ai tempi di Ariosto. No. Siccome abbiamo costruito città densissimamente abitate, usando come unità tipo palazzine di calcestruzzo armato fatte chi sa come e chi sa da chi, il rischio è enormemente aumentato. Basterebbe un unico terremoto, di severità significativa, in luogo sfortunato, per mettere definitivamente in ginocchio il Paese. Allora altro che spread!

Quindi, nulla di nuovo sotto il sole, e conteremo ancora molti morti.

venerdì 10 febbraio 2017

CertIng (2): Lettera Aperta a Bruno Finzi

Caro Bruno,

ho ricevuto quest'oggi una missiva dall'Ordine degli Ingegneri di Milano, che Tu presiedi, nella quale mi si propone di aderire alla certificazione CertIng al modesto costo di Euro 160 o 260 + IVA, a seconda del livello (1 o 2).

Inoltre, tra le altre cose, mi si informa che avrei diritto a 15 CFP per tre anni, se faccio tale certificazione.

Volevo dirti.

Io credo che questo sia più o meno un mercato, che spaccia la certificazione come qualcosa di serio, mentre l'unica cosa seria sono gli studi fatti (o non fatti) bene alla Università, e la successiva attività professionale.

Con questa cosa del Cert Ing, Voi state massacrando quel poco che resta della immagine che un tempo avevano gli ingegneri, facendo passare il concetto che esistono ingegneri non qualificati per il loro compito.

Anziché espellere chi si comporta male, o dimostra di non avere i requisiti per esercitare la professione, che sarebbe quanto farebbe una istituzione seria, con questa cosa del bollino blu a pagamento Voi state distruggendo l'idea stessa che un ingegnere iscritto all'Ordine, in quanto iscritto all'Ordine, sia competente.

Certo, sappiamo bene che a volte non è così. Ma allora, agite di conseguenza sugli iscritti, per sottrazione, non per aggiunta.

Spiace vedere che anche l'Ordine di Milano, segua questa tendenza scellerata.

Auguri: di questo passo non rimarrà presto più nulla da presiedere.

Cordiali saluti

Paolo

mercoledì 8 febbraio 2017

Terremoto: un affare

Non avevo molto creduto a quanti dicevano e scrivevano che il terremoto fosse un affare. Avevo pensato che le persone interessate ad arricchirsi con le case devastate fossero una esigua minoranza.

Mi sono ricreduto dopo gli ultimi sismi.

I terremoti creano oggettivamente lavoro per molte persone. E oggettivamente molti ne traggono vantaggi.

  1. Le imprese di costruzione.
  2. I professionisti che devono progettare le nuove abitazioni o che devono valutare quelle esistenti. Vantaggi: alcuni più, altri meno. Decine di migliaia di ingegneri, geometri, architetti, geologi, periti...
  3. Gli esperti che vengono consultati per emettere pareri in merito a edifici strategici, ponti, dighe o altre strutture speciali.
  4. I politici, che mostrandosi attenti e pronti si fanno molta buona pubblicità, e quindi si preparano a restare.
  5. Gli amministratori, che possono ottenere fondi per i territori e quindi consensi.
  6. Le software house che vengono nuove versioni dei loro programmi.
  7. I professori universitari, che traggono lustro e incarichi dal fatto di partecipare alle Commissioni che decidono le Norme.
  8. E via così enumerando.

Gli unici a perderci qualcosa sono solo e soltanto i terremotati. Gli altri non percepiscono che possa capitare anche a loro. La ruota della Fortuna gira, e colpisce tutto sommato pochi. Sfortunati.

La gran macchina del cincischio deve funzionare. Non interessa molto, io credo, che il lavoro fatto ed i soldi spesi siano utili. Altrimenti bisognerebbe cambiare molte cose, a cominciare dalle leggi. Le leggi, invece, sono fatte per essere modificate, interpretate, adeguate, aggiornate e via via modificate, sulla base, si dice, del progresso tecnico e scientifico. Che siano sbagliate, e che si sappia, poco interessa. L'essenziale è che non vengano smentite troppo platealmente.

Ora il prossimo gran quizzone è la determinazione per via probabilistica della vulnerabilità del patrimonio edile. Sappiamo già che buona parte dell'edificato è a rischio, ma metterlo nero su bianco aiuta. In specie se con numeri del lotto, per dare una patina di precisione e affidabilità. Milioni di parcelle, inoltre.

Dico "i numeri del lotto" perché si sa che i metodi probabilistici sono sbagliati ed inadeguati. Se 1+1=2, allora le norme andrebbero cambiate. Ma è impossibile: la macchina che gli gira intorno è troppo possente per essere arrestata. Ora abbiamo la nuova frontiera: il progetto Case Italia.

Sono certo che molti stanno correndo a perdifiato per saltare sul carro. Ma sono anche certo che di quello che servirebbe veramente, ben poco sarà fatto. Me lo dice il fatto che ci sono incoerenze stridenti. Chiare contraddizioni, nelle norme. Che nessuno affronta.

L'essenziale è che tutto giri con una parvenza di efficienza e di utilità. Dei fatti veri, poco importa.