giovedì 25 ottobre 2018

Il ponte Morandi era un ponte sbagliato e pericoloso, ab initio

Dettagli evidenziati: a sinistra una sezione di calcestruzzo praticamente priva di acciaio di armatura, il bordo liscio fa pensare a  una importante discontinuità di costruzione (ripresa di getto); a destra la incredibile sottigliezza delle pareti del cassone pluricellulare che costituiva il biscotto Morandi. Ogni rettangolo è circa 3 metri di larghezza per 4-4,5 di altezza, lo spessore era di 16 cm al lembo superiore e a quello inferiore.
Sono due mesi che quando posso continuo a studiare il sistema bilanciato del ponte Morandi. Ormai credo di essermi fatto una idea piuttosto precisa non solo di come funzionasse veramente, ma anche di tutti i suoi numerosissimi limiti, e ciò senza pregiudicare alcuna altra considerazione in merito alla mancata o errata manutenzione di questo ponte, che sicuramente stando a quanto si è letto ha avuto molta importanza. 

Io qui vorrei esaminare l'opera per come era.


Le foto lo indicano chiaramente, che di acciaio ce n'era pochissimo. Che i cassoni dell'impalcato erano sottilissimi. E il prof. Morandi, di aver usato poco acciaio dà precisa notizia (1)(2), considerando questo, evidentemente, un buon risultato. 
Si è rotto come una costruzione di  biscotti spezzati uno dopo l'altro, il suo ponte, senza nessuna duttilità. Nessuna capacità di adattamento: un intero sistema bilanciato è crollato tutto, e non si è salvato nulla.
Dicono, per difendere questo ponte, che allora non si usava fare le strutture duttili, che allora era normale non farle ridondanti, che era normale costruirle sulla testa delle persone. Allora.
Ma una volta era normale anche usare il lavoro minorile, e i ragazzini portavano i pesi a sette anni. Una volta c'era lo schiavismo. Una volta gli operai andavano su, nei cantieri, senza nessuna protezione. E una volta - negli anni '50 - si provavano farmaci potenzialmente pericolosi sui malati di mente.
Tuttavia, non tutti i medici facevano quegli esperimenti, non in tutti i cantieri gli operai andavano senza protezione. E non tutte le famiglie povere mandavano i figli a lavorare a sette anni. Non tutte le imprese li utilizzavano. E non tutti i ponti sono stati costruiti, settanta o cento anni fa, con i criteri usati da Riccardo Morandi, assolutamente sconsigliabili e errati, per diverse ragioni.

Qualcuno vorrebbe che il ponte fosse ricostruito identico e lo considera un monumento, un'opera d'arte da conservare: ma secondo me sarebbe uno sfregio ai morti e alla città di Genova, e inoltre un pessimo insegnamento per le scuole di ingegneria del Paese. Invece, da questo crollo, noi dobbiamo trarre tutti i necessari insegnamenti e non dobbiamo farci arrestare da nessun timore reverenziale, andando a scovare tutte le criticità, nessuna esclusa. Tra le criticità c'è anche un ponte mal concepito, esasperatamente volto al risparmio di materiale in un momento, la metà degli anni '60, in cui il Paese era ormai ben lontano dalle stringenti esigenze del dopoguerra, quando occorreva spesso fare di necessità virtù.

Abbiamo il dovere di dire che nello spingere il risparmio di materiale al massimo, e nel concepire sistemi così fragili, Morandi era suo malgrado un cattivo maestro, e la sua ingegneria nel viadotto sul Polcevera, suo malgrado, una pessima e mal riuscita ingegneria. Dobbiamo proteggerci dai cattivi esempi e dobbiamo metterli chiaramente in luce, senza possibili equivoci e senza il rischio di lodare soluzioni sbagliate. Progettare come fece il professor Morandi è pericoloso e sbagliato, nessuno deve progettare in questo modo. Questo si deve dire. Questo va detto.

Il ponte sul Polcevera è simbolo di calcolo a senso unico, di eccesso di fiducia nella validità assoluta delle proprie assunzioni, di futile risparmio, e a causa di tutto ciò, di una sostanziale mancanza di autentico riguardo verso la popolazione civile (soprastante e sottostante), che era esposta a un rischio considerevole, sempre maggiore con il passare del tempo (i lustri e lustri di vita che una tale opera implicitamente doveva avere e dei quali il progettista doveva tener conto).

In questo senso, il ponte Morandi è sì un simbolo, ma in negativo. Un'opera di ingegneria civile deve sempre avere in mente la popolazione che la usa, ed il criterio della sicurezza deve sempre prevalere su quello del risparmio. Invece qui si ha l'impressione che si sia voluto spingere il risparmio di materiale ben al di là del lecito, quasi ci fosse una competizione a riguardo e un premio da vincere. Il che è contrario ai principi di base di ogni buona opera di ingegneria civile. E poi: perché? Quale la ragione prima di una tale corsa al risparmio?

Si resta sconcertati nell'apprendere che per decenni questo ponte sia stato considerato un alto esempio di ingegneria, e che ancora oggi qualcuno lo consideri tale. Evidentemente, questo qualcuno, o non dispone delle conoscenze tecniche necessarie a comprendere come funzioni veramente questo ponte,  o non ne ha studiato i dettagli anche guardando con attenzione le foto delle macerie, o è obnubilato tanto da non vedere i suoi enormi difetti. E così è stato per decenni: come è possibile? Cosa viene effettivamente insegnato?

Io non lo conoscevo, questo ponte, e ho cominciato a studiarlo dopo il crollo, rimanendo giorno dopo giorno sempre più stupefatto delle sue numerosissime mancanze, della sua temeraria incoscienza. Qualcuno deve prendere le parti delle persone che lo hanno usato, che lo hanno avuto sulla testa, quel ponte. Un'opera di ingegneria civile non è un esercizio di meccanica razionale o di scienza delle costruzioni. Le opere di ingegneria civile servono le persone, non il contrario. Nel progettarle, prudenza, dubbio sistematico e temperanza sono obbligatori. Oggi, ma anche ieri. A mio parere questa prudenza e questo dubbio sistematico non ci sono nel progetto del viadotto sul Polcevera.

Io, in questo post, vorrei spiegare come il sistema bilanciato funzionasse nel modo più chiaro possibile, in modo che tutti possano capire quanto fosse azzardato e incosciente. Userò quindi una terminologia domestica, e non starò a riempire il testo di citazioni e virgolettati. Tutto quanto scrivo, comunque, è suffragato da riscontri.


Se prendiamo un biscotto e lo flettiamo, questo si spezza facilmente perché non resiste a trazione, come il calcestruzzo. Se lo tiriamo, idem: si spezza. Se invece lo comprimiamo tra pollice ed indice, non troppo, resiste. Se è tozzo resiste anche bene. Questo è il principio alla base delle strutture in calcestruzzo armato precompresso, aggiungere una compressione a una trazione, in modo che la trazione sparisca. Infatti il calcestruzzo non armato, come il biscotto, non resiste a trazione e, per sopperire a questo inconveniente, o lo si precomprime, o lo si infarcisce di barre di acciaio, affidando a loro il compito di resistere alla trazione.

Un pesante biscotto quasi non armato lungo 170 metri circa, sostenuto in 4 punti: l'impalcato del sistema bilanciato. Qui sopra passavano macchine e camion, da 50 anni.


Il sistema bilanciato del ponte Morandi è un lungo e pesante biscotto di calcestruzzo che si appoggia in quattro punti. Due punti sono costituiti da strutture sottostanti, in cemento armato, esiline e poco armate, ma alte 40 metri. Gli altri due, alle due estremità, sono appoggi strani: il ponte-biscotto si appoggia a degli "stralli", ovvero a dei cavi principali tesi, che lo tirano su, lui che vorrebbe andare giù e piegarsi a causa del suo enorme peso.

Molta gente, ingannata dal fatto che Morandi parla di stralli precompressi, ha creduto che gli stralli fossero sostanzialmente compressi, ma non è assolutamente vero (la questione degli stralli compressi la spiego tra poco). In buona sostanza la parte più importante degli stralli, ovvero la loro anima costituita da 352 trefoli di acciaio, era tesa come una qualsiasi corda, e questa tensione sosteneva tutto l'enorme peso della parte a sbalzo ponte. Se lo strallo fosse stato compresso, avrebbe tirato giù il ponte, non lo avrebbe sostenuto.

Una pila di monete compresse può sostenere un peso: tolta la compressione cade tutto

Questa trazione dei cavi principali era però inclinata, e quindi si trasformava da una parte in una forza verso l'alto che sosteneva il ponte-biscotto, dall'altro in una forza che comprimeva il ponte-biscotto stesso.

Benissimo, dice il progettista: dato che il mio ponte ora è compresso, lo posso inflettere senza molti problemi, proprio come avviene quando prendo una pila di monete e la schiaccio tra pollice e indice: le monete possono sostenere un peso. E l'impalcato del ponte Morandi, ovvero la strada sui cui passavano le macchine e i camion e che doveva sostenere il suo enorme peso, "risulta praticamente privato di armatura" (3) come dice orgogliosamente Morandi, per il quale evidentemente aver risparmiato sull'acciaio era un bel risultato. L'armatura era sostanzialmente applicata solo alle zone di appoggio.


Blocchi di calcestruzzo privi di armatura. Dettaglio di cassone pluricellulare, pareti senza armatura visibile


Quindi possiamo comprendere che l'impalcato del sistema bilanciato del ponte Morandi, era un pesante biscotto quasi privo di armatura lungo circa 170 metri ed alto tra 4.5 metri e poco meno di 4 metri, che stava su solo perché era compresso a causa della trazione dei cavi, e sostenuto sempre dalla trazione dei cavi. La trazione dei cavi dello strallo aveva due effetti fondamentali:
  1. esercitava una forza verticale verso l'alto sul ponte, proprio come se fosse un appoggio.
  2. esercitava una forza di compressione sul calcestruzzo, donandogli una resistenza alla flessione che da solo senza una ingente armatura mai avrebbe avuto, proprio come un biscotto.

Finché durava.

Perché proprio come smettendo di schiacciare le monete queste cadono giù, così il biscotto-Morandi, se non fosse più stato schiacciato, sarebbe venuto giù. Non sarebbe stato necessario che la (pre)compressione cessasse del tutto: sarebbe stato sufficiente che diminuisse un po', per esempio del 10, del 20 o del 30%. In questo caso, le monete sarebbero lo stesso cadute giù.

Quindi c'era una doppia causa scatenante il crollo, se quei tiranti avessero smesso di tirare quanto dovevano.


Il sistema bilanciato è un arco che incassa la freccia e non la scocca. I 4 triangoli sono un simbolo che vuol dire "appoggio" (immagine tratta dalla relazione del MIT, opportunamente modificata).

Passiamo ora a esaminare come gli stralli erano effettivamente costruiti. In primo luogo - su ogni lato del ponte: Sud/Mare, Nord/Valle-, non c'erano due stralli ma sostanzialmente uno strallo solo. Infatti, i cavi principali erano fatti passare sopra la pila, come in un gigantesco arco che, anziché scoccare la freccia, la incassa. La pila agiva come una freccia sospinta verso l'alto dalle reazioni esercitate dal terreno, 90 metri più in basso.
Il fatto che vi fosse continuità nello strallo GE-SV, su ciascun lato (Sud/Nord), voleva dire che un qualsiasi problema a un trefolo in un qualsiasi punto lungo i suoi 180 metri di sviluppo, si sarebbe trasformato nella totale inattivazione del trefolo, sia sul lato Genova che sul lato Savona. Quindi, tutto il vitale sistema che sorreggeva il ponte-biscotto era un unico sistema, e un danno in un qualsiasi suo punto avrebbe inattivato la parte attaccata lungo tutto il suo sviluppo.
Per poter essere ben teso, l'arco riceve una spinta verso l'alto dalla freccia-pila, che a sua volta è spinta verso il basso dallo strallo-corda e quindi fortemente compressa.
Spezzone del grissino-pila praticamente privo di armatura e in più, cavo. Le frecce bianche indicano l'armatura perimetrale, tra l'altro quasi priva di copriferro. I cerchi rossi indicano che il calcestruzzo, all'interno, non era affatto armato. 

Uhm, altra compressione, questa volta nella pila. Allora: poca armatura! E infatti le fotografie delle rovine mostrano che le gambe delle V capovolte che formano la pila, erano pochissimo armate, e per di più cave. Erano, a loro volta, degli enormi biscotti compressi, o forse, meglio, dei giganteschi grissini.
Se per qualche motivo avessero dovuto resistere a un po' di flessione, per esempio per un tiro sbilanciato degli stralli, ebbene, si sarebbero rotte come giganteschi grissini: come infatti è avvenuto.
Le pile-grissini, non erano collegate all'impalcato (la strada). Erano due V capovolte, e inclinate su un piano verticale, collegate in cima da un traversone.

Fino a questo momento abbiamo visto montare una gigantesca molla-arco, caricata da grossi grissini-freccia, e sorreggente un pesante biscotto di 170 metri. Il tutto, lo ricordo, montato sopra le teste di ignari cittadini che abitavano i palazzi ora evacuati.
Precompressione del calcestruzzo grazie alla trazione dei cavi secondari

Veniamo ora a comprendere l'altra specifica invenzione, fatta da Morandi: gli stralli precompressi.
Dato che uno dei timori per l'acciaio è che la ruggine lo corroda, Morandi inventa una specie di involucro in calcestruzzo che vuole a tenuta d'umidità e acqua.

Le forze rosse sono di trazione. Le forze verdi di compressione. Il calcestruzzo è compresso. I cavi secondari tesi. La somma della compressione nel calcestruzzo e della trazione nei cavi secondari dà zero. Lo strallo è quindi complessivamente teso, grazie alla trazione dei cavi principali.
Quindi avvolge i cavi principali tesi da questo involucro e applica, alle due estremità dell'involucro, una forza che schiaccia l'involucro comprimendolo. In questo modo, secondo lui, i cavi principali d'acciaio, che reggono lo ricordo tutto quanto, vengono ad essere protetti da uno scafandro impenetrabile alla umidità e all'acqua. Quindi, pensa Morandi, i cavi d'acciaio non si corroderanno mai.

Questa idea era sbagliata.

Già negli anni '40 Sandro Dei Poli aveva pubblicato un libro, in Italia, in italiano, - Crolli e Lesioni di Strutture 1942-XX, Hoepli-, recentemente ripubblicato da EPC, nel quale si mettevano in evidenza i danni causati - a Giava - dagli ambienti marini sul calcestruzzo armato. Pochi in Italia lo avevano letto, e quindi quasi tutti, incluso Morandi, nel 1968 ancora credevano alla favola del calcestruzzo inattaccabile quando ben bene compresso.
Iniezione dei cavi. Da quel momento in poi - in teoria - l'applicazione di ulteriori carichi avrebbe visto reagire lo strallo omogeneizzato come un tutt'uno.

Dopo aver compresso lo scafandro in calcestruzzo il sistema Morandi prevede di iniettare i cavi, vale a dire che i vuoti intorno ai trefoli di acciaio (principali e secondari) vengono riempiti. Almeno: in teoria. Ci sono infatti fondati motivi per ritenere che i cavi principali del Polcevera non siano stati iniettati e che siano rimasti liberi dentro una cavità protetta da un lamierino.

Da quel momento in poi, dato che - in teoria - la iniezione garantisce la solidarietà tra le varie parti, ogni ulteriore carico volto a tendere lo strallo, avrebbe visto reagire il sistema complessivo. Il calcestruzzo si sarebbe un po' decompresso, i cavi si sarebbero tesi un altro pochettino. La grande rigidezza dello strallo avrebbe fatto sì che le variazioni di tensione nei cavi, dovute ai carichi mobili, sarebbero state minime, il grosso lo avrebbe sostenuto la decompressione del calcestruzzo. Quindi, la fatica dell'acciaio non sarebbe esistita. Infatti l'acciaio sarebbe rimasto a una tensione grosso modo quasi costante, dovuta essenzialmente:
  • per i cavi principali, al peso del ponte.
  • per i cavi secondari, alla trazione iniziale a loro assegnata per precomprimere lo scafandro.

In realtà l'iniezione dei cavi è una procedura difficile e molto spesso inadeguata. Se l'iniezione è parziale ciò lascia i cavi all'aria e li espone agli attacchi della corrosione. Inoltre diventa molto difficile prevedere il comportamento di un sistema parzialmente iniettato e parzialmente no.

Dato che l'idea principale di usare il calcestruzzo per proteggere l'acciaio dalla corrosione era sbagliata, la corrosione dei cavi, dapprima secondari, poi principali, iniziò praticamente sin da subito. Nel 1992 (circa 25 anni dopo la costruzione), fu trovata una estesa corrosione negli stralli del sistema bilanciato 11, e secondo svariate fonti, anche in quelli 9 e 10. Ma fu riparato solo il sistema 11.

Uno degli aspetti deleteri del sistema Morandi, è che se da una parte lo scafandro non serve a proteggere un bel nulla, esso serve molto bene a rendere difficile la ispezione dei cavi, che sono sepolti dentro lo scafandro e sostanzialmente inaccessibili.

Il crollo del viadotto Morandi è stato causato molto probabilmente dalla forte sottostima della corrosione dei cavi principali.

Corrosione nei cavi: cosa provoca?

Immaginando che si corrodano per primi i cavi più esterni, quelli secondari, la prima cosa che succede è che la precompressione del calcestruzzo (dello scafandro) sparisce. Questo provoca seri problemi? No, niente affatto. Infatti sono i cavi principali a sostenere tutto, e possono anche tranquillamente sostenere il peso dei veicoli, che sono una cosa modesta rispetto all'enorme peso del ponte.

Invece, i guai seri cominciano quando i cavi principali cominciano a corrodersi. Essi, lo abbiamo visto, tengono tutto. Sono 352 trefoli. Prima si corrode uno, e cede. Poi un altro, e cede. Poi un altro ancora, così per 50 anni.

All'aumentare della corrosione dei cavi principali, il ponte-biscotto si sarebbe gradualmente caricato di sforzi maggiori, andando pericolosamente a raggiungere la zona delle impossibili trazioni, o delle insostenibili compressioni. Infatti la precompressione del biscotto sarebbe diminuita, mentre al tempo stesso la forza di sostegno alle sue estremità sarebbe diminuita anch'essa. Contemporaneamente, lo sforzo  della parte residua (ovvero non corrosa) dei cavi principali sarebbe aumentato, dai 70 Kg/mmq iniziali, su, su, e ancora su, verso i 170 che erano il limite fisico del sistema.

Finché alle 11:36 del 14 Agosto 2018 si è raggiunto il limite. E il sistema è esploso come una costruzione fatta di grissini e biscotti, quale essa era.

Possiamo davvero pensare di ricostruirlo eguale, o di conservarne la memoria come se fosse stata un'opera geniale?

Io non credo.



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(1) "En efecto, en el viaducto de Polcevera, incluidos lor tirantes, ha sido puesta en obra una cantidad de acero (per m2 de tablero), en paridad de luz, como ya se ha indicado, de casi 1/3 de la empleada en el puente de Benford; esto, habiendo cuidado mucho las diferents tensiones maximas en las que dicho acero esta solicitado en estas dos obras de arte"
 Forse "Benford" è un refuso e in realtà è Bendorf
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 ".
(2)  "The structure has been designed to show maximum efficiency under the applied loads which will act on it, and this has saved a considerable amount of material".
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 " (riassunto dell'articolo in inglese)
(3)  "mientras el entramado resulta praticamente privado de armadura longitudinal, e exception del extremo del salto y de la zona proxima a los apoyos intermedios".
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 "