Io qui vorrei esaminare l'opera per come era.
Le foto lo indicano chiaramente, che di acciaio ce n'era pochissimo. Che i cassoni dell'impalcato erano sottilissimi. E il prof. Morandi, di aver usato poco acciaio dà precisa notizia (1)(2), considerando questo, evidentemente, un buon risultato.
Si è rotto come una costruzione di biscotti spezzati uno dopo l'altro, il suo ponte, senza nessuna duttilità. Nessuna capacità di adattamento: un intero sistema bilanciato è crollato tutto, e non si è salvato nulla.
Dicono, per difendere questo ponte, che allora non si usava fare le strutture duttili, che allora era normale non farle ridondanti, che era normale costruirle sulla testa delle persone. Allora.
Ma una volta era normale anche usare il lavoro minorile, e i ragazzini portavano i pesi a sette anni. Una volta c'era lo schiavismo. Una volta gli operai andavano su, nei cantieri, senza nessuna protezione. E una volta - negli anni '50 - si provavano farmaci potenzialmente pericolosi sui malati di mente.
Tuttavia, non tutti i medici facevano quegli esperimenti, non in tutti i cantieri gli operai andavano senza protezione. E non tutte le famiglie povere mandavano i figli a lavorare a sette anni. Non tutte le imprese li utilizzavano. E non tutti i ponti sono stati costruiti, settanta o cento anni fa, con i criteri usati da Riccardo Morandi, assolutamente sconsigliabili e errati, per diverse ragioni.
Qualcuno vorrebbe che il ponte fosse ricostruito identico e lo considera un monumento, un'opera d'arte da conservare: ma secondo me sarebbe uno sfregio ai morti e alla città di Genova, e inoltre un pessimo insegnamento per le scuole di ingegneria del Paese. Invece, da questo crollo, noi dobbiamo trarre tutti i necessari insegnamenti e non dobbiamo farci arrestare da nessun timore reverenziale, andando a scovare tutte le criticità, nessuna esclusa. Tra le criticità c'è anche un ponte mal concepito, esasperatamente volto al risparmio di materiale in un momento, la metà degli anni '60, in cui il Paese era ormai ben lontano dalle stringenti esigenze del dopoguerra, quando occorreva spesso fare di necessità virtù.
Tuttavia, non tutti i medici facevano quegli esperimenti, non in tutti i cantieri gli operai andavano senza protezione. E non tutte le famiglie povere mandavano i figli a lavorare a sette anni. Non tutte le imprese li utilizzavano. E non tutti i ponti sono stati costruiti, settanta o cento anni fa, con i criteri usati da Riccardo Morandi, assolutamente sconsigliabili e errati, per diverse ragioni.
Qualcuno vorrebbe che il ponte fosse ricostruito identico e lo considera un monumento, un'opera d'arte da conservare: ma secondo me sarebbe uno sfregio ai morti e alla città di Genova, e inoltre un pessimo insegnamento per le scuole di ingegneria del Paese. Invece, da questo crollo, noi dobbiamo trarre tutti i necessari insegnamenti e non dobbiamo farci arrestare da nessun timore reverenziale, andando a scovare tutte le criticità, nessuna esclusa. Tra le criticità c'è anche un ponte mal concepito, esasperatamente volto al risparmio di materiale in un momento, la metà degli anni '60, in cui il Paese era ormai ben lontano dalle stringenti esigenze del dopoguerra, quando occorreva spesso fare di necessità virtù.
Abbiamo il dovere di dire che nello spingere il risparmio di materiale al massimo, e nel concepire sistemi così fragili, Morandi era suo malgrado un cattivo maestro, e la sua ingegneria nel viadotto sul Polcevera, suo malgrado, una pessima e mal riuscita ingegneria. Dobbiamo proteggerci dai cattivi esempi e dobbiamo metterli chiaramente in luce, senza possibili equivoci e senza il rischio di lodare soluzioni sbagliate. Progettare come fece il professor Morandi è pericoloso e sbagliato, nessuno deve progettare in questo modo. Questo si deve dire. Questo va detto.
Il ponte sul Polcevera è simbolo di calcolo a senso unico, di eccesso di fiducia nella validità assoluta delle proprie assunzioni, di futile risparmio, e a causa di tutto ciò, di una sostanziale mancanza di autentico riguardo verso la popolazione civile (soprastante e sottostante), che era esposta a un rischio considerevole, sempre maggiore con il passare del tempo (i lustri e lustri di vita che una tale opera implicitamente doveva avere e dei quali il progettista doveva tener conto).
In questo senso, il ponte Morandi è sì un simbolo, ma in negativo. Un'opera di ingegneria civile deve sempre avere in mente la popolazione che la usa, ed il criterio della sicurezza deve sempre prevalere su quello del risparmio. Invece qui si ha l'impressione che si sia voluto spingere il risparmio di materiale ben al di là del lecito, quasi ci fosse una competizione a riguardo e un premio da vincere. Il che è contrario ai principi di base di ogni buona opera di ingegneria civile. E poi: perché? Quale la ragione prima di una tale corsa al risparmio?
Si resta sconcertati nell'apprendere che per decenni questo ponte sia stato considerato un alto esempio di ingegneria, e che ancora oggi qualcuno lo consideri tale. Evidentemente, questo qualcuno, o non dispone delle conoscenze tecniche necessarie a comprendere come funzioni veramente questo ponte, o non ne ha studiato i dettagli anche guardando con attenzione le foto delle macerie, o è obnubilato tanto da non vedere i suoi enormi difetti. E così è stato per decenni: come è possibile? Cosa viene effettivamente insegnato?
Io non lo conoscevo, questo ponte, e ho cominciato a studiarlo dopo il crollo, rimanendo giorno dopo giorno sempre più stupefatto delle sue numerosissime mancanze, della sua temeraria incoscienza. Qualcuno deve prendere le parti delle persone che lo hanno usato, che lo hanno avuto sulla testa, quel ponte. Un'opera di ingegneria civile non è un esercizio di meccanica razionale o di scienza delle costruzioni. Le opere di ingegneria civile servono le persone, non il contrario. Nel progettarle, prudenza, dubbio sistematico e temperanza sono obbligatori. Oggi, ma anche ieri. A mio parere questa prudenza e questo dubbio sistematico non ci sono nel progetto del viadotto sul Polcevera.
Io, in questo post, vorrei spiegare come il sistema bilanciato funzionasse nel modo più chiaro possibile, in modo che tutti possano capire quanto fosse azzardato e incosciente. Userò quindi una terminologia domestica, e non starò a riempire il testo di citazioni e virgolettati. Tutto quanto scrivo, comunque, è suffragato da riscontri.
⧫
Se prendiamo un biscotto e lo flettiamo, questo si spezza facilmente perché non resiste a trazione, come il calcestruzzo. Se lo tiriamo, idem: si spezza. Se invece lo comprimiamo tra pollice ed indice, non troppo, resiste. Se è tozzo resiste anche bene. Questo è il principio alla base delle strutture in calcestruzzo armato precompresso, aggiungere una compressione a una trazione, in modo che la trazione sparisca. Infatti il calcestruzzo non armato, come il biscotto, non resiste a trazione e, per sopperire a questo inconveniente, o lo si precomprime, o lo si infarcisce di barre di acciaio, affidando a loro il compito di resistere alla trazione.
Un pesante biscotto quasi non armato lungo 170 metri circa, sostenuto in 4 punti: l'impalcato del sistema bilanciato. Qui sopra passavano macchine e camion, da 50 anni. |
Il sistema bilanciato del ponte Morandi è un lungo e pesante biscotto di calcestruzzo che si appoggia in quattro punti. Due punti sono costituiti da strutture sottostanti, in cemento armato, esiline e poco armate, ma alte 40 metri. Gli altri due, alle due estremità, sono appoggi strani: il ponte-biscotto si appoggia a degli "stralli", ovvero a dei cavi principali tesi, che lo tirano su, lui che vorrebbe andare giù e piegarsi a causa del suo enorme peso.
Molta gente, ingannata dal fatto che Morandi parla di stralli precompressi, ha creduto che gli stralli fossero sostanzialmente compressi, ma non è assolutamente vero (la questione degli stralli compressi la spiego tra poco). In buona sostanza la parte più importante degli stralli, ovvero la loro anima costituita da 352 trefoli di acciaio, era tesa come una qualsiasi corda, e questa tensione sosteneva tutto l'enorme peso della parte a sbalzo ponte. Se lo strallo fosse stato compresso, avrebbe tirato giù il ponte, non lo avrebbe sostenuto.
Una pila di monete compresse può sostenere un peso: tolta la compressione cade tutto |
Questa trazione dei cavi principali era però inclinata, e quindi si trasformava da una parte in una forza verso l'alto che sosteneva il ponte-biscotto, dall'altro in una forza che comprimeva il ponte-biscotto stesso.
Benissimo, dice il progettista: dato che il mio ponte ora è compresso, lo posso inflettere senza molti problemi, proprio come avviene quando prendo una pila di monete e la schiaccio tra pollice e indice: le monete possono sostenere un peso. E l'impalcato del ponte Morandi, ovvero la strada sui cui passavano le macchine e i camion e che doveva sostenere il suo enorme peso, "risulta praticamente privato di armatura" (3) come dice orgogliosamente Morandi, per il quale evidentemente aver risparmiato sull'acciaio era un bel risultato. L'armatura era sostanzialmente applicata solo alle zone di appoggio.
Blocchi di calcestruzzo privi di armatura. Dettaglio di cassone pluricellulare, pareti senza armatura visibile |
Quindi possiamo comprendere che l'impalcato del sistema bilanciato del ponte Morandi, era un pesante biscotto quasi privo di armatura lungo circa 170 metri ed alto tra 4.5 metri e poco meno di 4 metri, che stava su solo perché era compresso a causa della trazione dei cavi, e sostenuto sempre dalla trazione dei cavi. La trazione dei cavi dello strallo aveva due effetti fondamentali:
- esercitava una forza verticale verso l'alto sul ponte, proprio come se fosse un appoggio.
- esercitava una forza di compressione sul calcestruzzo, donandogli una resistenza alla flessione che da solo senza una ingente armatura mai avrebbe avuto, proprio come un biscotto.
Finché durava.
Perché proprio come smettendo di schiacciare le monete queste cadono giù, così il biscotto-Morandi, se non fosse più stato schiacciato, sarebbe venuto giù. Non sarebbe stato necessario che la (pre)compressione cessasse del tutto: sarebbe stato sufficiente che diminuisse un po', per esempio del 10, del 20 o del 30%. In questo caso, le monete sarebbero lo stesso cadute giù.
Quindi c'era una doppia causa scatenante il crollo, se quei tiranti avessero smesso di tirare quanto dovevano.
Il sistema bilanciato è un arco che incassa la freccia e non la scocca. I 4 triangoli sono un simbolo che vuol dire "appoggio" (immagine tratta dalla relazione del MIT, opportunamente modificata). |
Passiamo ora a esaminare come gli stralli erano effettivamente costruiti. In primo luogo - su ogni lato del ponte: Sud/Mare, Nord/Valle-, non c'erano due stralli ma sostanzialmente uno strallo solo. Infatti, i cavi principali erano fatti passare sopra la pila, come in un gigantesco arco che, anziché scoccare la freccia, la incassa. La pila agiva come una freccia sospinta verso l'alto dalle reazioni esercitate dal terreno, 90 metri più in basso.
Il fatto che vi fosse continuità nello strallo GE-SV, su ciascun lato (Sud/Nord), voleva dire che un qualsiasi problema a un trefolo in un qualsiasi punto lungo i suoi 180 metri di sviluppo, si sarebbe trasformato nella totale inattivazione del trefolo, sia sul lato Genova che sul lato Savona. Quindi, tutto il vitale sistema che sorreggeva il ponte-biscotto era un unico sistema, e un danno in un qualsiasi suo punto avrebbe inattivato la parte attaccata lungo tutto il suo sviluppo.
Per poter essere ben teso, l'arco riceve una spinta verso l'alto dalla freccia-pila, che a sua volta è spinta verso il basso dallo strallo-corda e quindi fortemente compressa.
Uhm, altra compressione, questa volta nella pila. Allora: poca armatura! E infatti le fotografie delle rovine mostrano che le gambe delle V capovolte che formano la pila, erano pochissimo armate, e per di più cave. Erano, a loro volta, degli enormi biscotti compressi, o forse, meglio, dei giganteschi grissini.
Se per qualche motivo avessero dovuto resistere a un po' di flessione, per esempio per un tiro sbilanciato degli stralli, ebbene, si sarebbero rotte come giganteschi grissini: come infatti è avvenuto.
Le pile-grissini, non erano collegate all'impalcato (la strada). Erano due V capovolte, e inclinate su un piano verticale, collegate in cima da un traversone.
Fino a questo momento abbiamo visto montare una gigantesca molla-arco, caricata da grossi grissini-freccia, e sorreggente un pesante biscotto di 170 metri. Il tutto, lo ricordo, montato sopra le teste di ignari cittadini che abitavano i palazzi ora evacuati.
Precompressione del calcestruzzo grazie alla trazione dei cavi secondari |
Veniamo ora a comprendere l'altra specifica invenzione, fatta da Morandi: gli stralli precompressi.
Dato che uno dei timori per l'acciaio è che la ruggine lo corroda, Morandi inventa una specie di involucro in calcestruzzo che vuole a tenuta d'umidità e acqua.
Questa idea era sbagliata.
Già negli anni '40 Sandro Dei Poli aveva pubblicato un libro, in Italia, in italiano, - Crolli e Lesioni di Strutture 1942-XX, Hoepli-, recentemente ripubblicato da EPC, nel quale si mettevano in evidenza i danni causati - a Giava - dagli ambienti marini sul calcestruzzo armato. Pochi in Italia lo avevano letto, e quindi quasi tutti, incluso Morandi, nel 1968 ancora credevano alla favola del calcestruzzo inattaccabile quando ben bene compresso.
Dopo aver compresso lo scafandro in calcestruzzo il sistema Morandi prevede di iniettare i cavi, vale a dire che i vuoti intorno ai trefoli di acciaio (principali e secondari) vengono riempiti. Almeno: in teoria. Ci sono infatti fondati motivi per ritenere che i cavi principali del Polcevera non siano stati iniettati e che siano rimasti liberi dentro una cavità protetta da un lamierino.
Da quel momento in poi, dato che - in teoria - la iniezione garantisce la solidarietà tra le varie parti, ogni ulteriore carico volto a tendere lo strallo, avrebbe visto reagire il sistema complessivo. Il calcestruzzo si sarebbe un po' decompresso, i cavi si sarebbero tesi un altro pochettino. La grande rigidezza dello strallo avrebbe fatto sì che le variazioni di tensione nei cavi, dovute ai carichi mobili, sarebbero state minime, il grosso lo avrebbe sostenuto la decompressione del calcestruzzo. Quindi, la fatica dell'acciaio non sarebbe esistita. Infatti l'acciaio sarebbe rimasto a una tensione grosso modo quasi costante, dovuta essenzialmente:
In realtà l'iniezione dei cavi è una procedura difficile e molto spesso inadeguata. Se l'iniezione è parziale ciò lascia i cavi all'aria e li espone agli attacchi della corrosione. Inoltre diventa molto difficile prevedere il comportamento di un sistema parzialmente iniettato e parzialmente no.
Dato che l'idea principale di usare il calcestruzzo per proteggere l'acciaio dalla corrosione era sbagliata, la corrosione dei cavi, dapprima secondari, poi principali, iniziò praticamente sin da subito. Nel 1992 (circa 25 anni dopo la costruzione), fu trovata una estesa corrosione negli stralli del sistema bilanciato 11, e secondo svariate fonti, anche in quelli 9 e 10. Ma fu riparato solo il sistema 11.
Uno degli aspetti deleteri del sistema Morandi, è che se da una parte lo scafandro non serve a proteggere un bel nulla, esso serve molto bene a rendere difficile la ispezione dei cavi, che sono sepolti dentro lo scafandro e sostanzialmente inaccessibili.
Il crollo del viadotto Morandi è stato causato molto probabilmente dalla forte sottostima della corrosione dei cavi principali.
Corrosione nei cavi: cosa provoca?
Immaginando che si corrodano per primi i cavi più esterni, quelli secondari, la prima cosa che succede è che la precompressione del calcestruzzo (dello scafandro) sparisce. Questo provoca seri problemi? No, niente affatto. Infatti sono i cavi principali a sostenere tutto, e possono anche tranquillamente sostenere il peso dei veicoli, che sono una cosa modesta rispetto all'enorme peso del ponte.
Invece, i guai seri cominciano quando i cavi principali cominciano a corrodersi. Essi, lo abbiamo visto, tengono tutto. Sono 352 trefoli. Prima si corrode uno, e cede. Poi un altro, e cede. Poi un altro ancora, così per 50 anni.
All'aumentare della corrosione dei cavi principali, il ponte-biscotto si sarebbe gradualmente caricato di sforzi maggiori, andando pericolosamente a raggiungere la zona delle impossibili trazioni, o delle insostenibili compressioni. Infatti la precompressione del biscotto sarebbe diminuita, mentre al tempo stesso la forza di sostegno alle sue estremità sarebbe diminuita anch'essa. Contemporaneamente, lo sforzo della parte residua (ovvero non corrosa) dei cavi principali sarebbe aumentato, dai 70 Kg/mmq iniziali, su, su, e ancora su, verso i 170 che erano il limite fisico del sistema.
Finché alle 11:36 del 14 Agosto 2018 si è raggiunto il limite. E il sistema è esploso come una costruzione fatta di grissini e biscotti, quale essa era.
Possiamo davvero pensare di ricostruirlo eguale, o di conservarne la memoria come se fosse stata un'opera geniale?
Io non credo.
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Questa idea era sbagliata.
Già negli anni '40 Sandro Dei Poli aveva pubblicato un libro, in Italia, in italiano, - Crolli e Lesioni di Strutture 1942-XX, Hoepli-, recentemente ripubblicato da EPC, nel quale si mettevano in evidenza i danni causati - a Giava - dagli ambienti marini sul calcestruzzo armato. Pochi in Italia lo avevano letto, e quindi quasi tutti, incluso Morandi, nel 1968 ancora credevano alla favola del calcestruzzo inattaccabile quando ben bene compresso.
Iniezione dei cavi. Da quel momento in poi - in teoria - l'applicazione di ulteriori carichi avrebbe visto reagire lo strallo omogeneizzato come un tutt'uno. |
Dopo aver compresso lo scafandro in calcestruzzo il sistema Morandi prevede di iniettare i cavi, vale a dire che i vuoti intorno ai trefoli di acciaio (principali e secondari) vengono riempiti. Almeno: in teoria. Ci sono infatti fondati motivi per ritenere che i cavi principali del Polcevera non siano stati iniettati e che siano rimasti liberi dentro una cavità protetta da un lamierino.
Da quel momento in poi, dato che - in teoria - la iniezione garantisce la solidarietà tra le varie parti, ogni ulteriore carico volto a tendere lo strallo, avrebbe visto reagire il sistema complessivo. Il calcestruzzo si sarebbe un po' decompresso, i cavi si sarebbero tesi un altro pochettino. La grande rigidezza dello strallo avrebbe fatto sì che le variazioni di tensione nei cavi, dovute ai carichi mobili, sarebbero state minime, il grosso lo avrebbe sostenuto la decompressione del calcestruzzo. Quindi, la fatica dell'acciaio non sarebbe esistita. Infatti l'acciaio sarebbe rimasto a una tensione grosso modo quasi costante, dovuta essenzialmente:
- per i cavi principali, al peso del ponte.
- per i cavi secondari, alla trazione iniziale a loro assegnata per precomprimere lo scafandro.
In realtà l'iniezione dei cavi è una procedura difficile e molto spesso inadeguata. Se l'iniezione è parziale ciò lascia i cavi all'aria e li espone agli attacchi della corrosione. Inoltre diventa molto difficile prevedere il comportamento di un sistema parzialmente iniettato e parzialmente no.
Dato che l'idea principale di usare il calcestruzzo per proteggere l'acciaio dalla corrosione era sbagliata, la corrosione dei cavi, dapprima secondari, poi principali, iniziò praticamente sin da subito. Nel 1992 (circa 25 anni dopo la costruzione), fu trovata una estesa corrosione negli stralli del sistema bilanciato 11, e secondo svariate fonti, anche in quelli 9 e 10. Ma fu riparato solo il sistema 11.
Uno degli aspetti deleteri del sistema Morandi, è che se da una parte lo scafandro non serve a proteggere un bel nulla, esso serve molto bene a rendere difficile la ispezione dei cavi, che sono sepolti dentro lo scafandro e sostanzialmente inaccessibili.
Il crollo del viadotto Morandi è stato causato molto probabilmente dalla forte sottostima della corrosione dei cavi principali.
Corrosione nei cavi: cosa provoca?
Immaginando che si corrodano per primi i cavi più esterni, quelli secondari, la prima cosa che succede è che la precompressione del calcestruzzo (dello scafandro) sparisce. Questo provoca seri problemi? No, niente affatto. Infatti sono i cavi principali a sostenere tutto, e possono anche tranquillamente sostenere il peso dei veicoli, che sono una cosa modesta rispetto all'enorme peso del ponte.
Invece, i guai seri cominciano quando i cavi principali cominciano a corrodersi. Essi, lo abbiamo visto, tengono tutto. Sono 352 trefoli. Prima si corrode uno, e cede. Poi un altro, e cede. Poi un altro ancora, così per 50 anni.
All'aumentare della corrosione dei cavi principali, il ponte-biscotto si sarebbe gradualmente caricato di sforzi maggiori, andando pericolosamente a raggiungere la zona delle impossibili trazioni, o delle insostenibili compressioni. Infatti la precompressione del biscotto sarebbe diminuita, mentre al tempo stesso la forza di sostegno alle sue estremità sarebbe diminuita anch'essa. Contemporaneamente, lo sforzo della parte residua (ovvero non corrosa) dei cavi principali sarebbe aumentato, dai 70 Kg/mmq iniziali, su, su, e ancora su, verso i 170 che erano il limite fisico del sistema.
Finché alle 11:36 del 14 Agosto 2018 si è raggiunto il limite. E il sistema è esploso come una costruzione fatta di grissini e biscotti, quale essa era.
Possiamo davvero pensare di ricostruirlo eguale, o di conservarne la memoria come se fosse stata un'opera geniale?
Io non credo.
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(1) "En efecto, en el viaducto de Polcevera, incluidos lor tirantes, ha sido puesta en obra una cantidad de acero (per m2 de tablero), en paridad de luz, como ya se ha indicado, de casi 1/3 de la empleada en el puente de Benford; esto, habiendo cuidado mucho las diferents tensiones maximas en las que dicho acero esta solicitado en estas dos obras de arte"
Forse "Benford" è un refuso e in realtà è Bendorf?
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 ".
(2) "The structure has been designed to show maximum efficiency under the applied loads which will act on it, and this has saved a considerable amount of material".
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 " (riassunto dell'articolo in inglese)
(3) "mientras el entramado resulta praticamente privado de armadura longitudinal, e exception del extremo del salto y de la zona proxima a los apoyos intermedios".
Morandi R., Viaducto sobre el Polcevera, en Génova-Italia, Informes de la Construccion, Vol. 21, n° 200, Mayo 1968 "
Pur non essendo ingegnere credo di aver capito la sua spiegazione. Grazie.
RispondiEliminaBuongiorno.
RispondiEliminaMi chiamo Manlio Pasquali e sono un Ingegnere Elettrotecnico, preciso che non ha alcuna conoscenza di Ingegneria Civile salvo qualche schemino e calcolo fatto a Scienza delle Costruzioni, quindi non posso dare alcun parere tecnico serio.
Da quello che so lo stesso Morandi, in diverse occasioni, ha cercato di avvertire le autorità competenti della pericolosità del Ponte, ed anzi sarebbe addirittura morto con questo pensiero nella mente.
Da quello che ho capito vedendo la struttura del ponte e le varie spiegazioni che si sono trovate in rete dopo l'evento, alla fin fine il ponte è costituito da sezioni indipendenti, che funzionano nel modo che lei ha descritto più che bene, comprimendo il 'biscotto' corrispondente alla loro sezione.
Il ponte è sicuramente anche una struttura dinamica, per cui ci sarà un qualche giogo tra le parti contigue, che sono però separate come si vede nelle fotografie della struttura crollata.
Perchè Morandi ha cercato questa soluzione, per certi versi elegantissima, nel costruire il ponte?
Questo non lo so, ma dal tanto rumore seguito all'evento, dove ognuno diceva la sua, più di un abitante di Genova mi disse che a suo tempo i vincoli sulla costruzione del ponte, Geometrici nel senso che fu imposto di non mettere piloni in certe zone, e forse anche monetari, si sono fatti sentire.
A naso io avrei rafforzato il famoso 'biscotto', ma pongo una domanda: se porto dei rinforzi nella strada e collego tutta le varie sezioni non rischio che un problema di oscillazione o in una di esse, me lo ritrovo nelle altre?
Al contrario, se rinforzo solo le sottosezioni, non crollano lo stesso?
A parte questo, è veramente un approfondimento utile ed anche molto chiaro.
Un saluto
Manlio
Le sono molto grato per aver espresso in forma comprensibile da non ingegneri le Sue osservazioni circa le cause del crollo Morandi. L'hybris si può attuare anche progettando ponti sotto i quali non si andrà ad abitare né sopra i quali si passerà.
RispondiEliminaHo vissuto qualcosa di simile per un progetto di edificio su pilastri in cemento armato, senza coni rovesciati di rinforzo come sostegno alle solette ma con il solo aumento dell'armatura in acciaio limitata al minimo, con grande risparmio economico secondo il progettista; il tutto presupponendo un'esecuzione assolutamente impeccabile. Così non fu, i pilastri "fustellarono" le solette piane che si accumularono alla base. Non ci furono morti fra le maestranze soltanto perché erano in pausa pranzo (nella lingua locale si trattò di "Durchstanzen der Flachsohlen").
Il danno fu la perdita, anche mia personale, del capitale investito. Purtroppo a Genova non fu così.
dott. José F. Padova
via Libertà 1/A
22012 Cernobbio (Como)
egregio ingegnere, non ho ancora letto bene tutto il suo intervento ma oltre a quanto lei sostiene posso aggiungere che, sulla base delle fotografie mi risulta che anche la qualità del calcestruzzo sembra non corrispondere a una struttura ben cementata, tanto da assumere un aspetto "polveroso" non certo adatto a un ponte. lo deduco anche dai frammenti piccolissimi delle parti crollate che anche se legate a una caduta di 30-35 metri non avrebbero dovuto frantumarsi in pezzetti da 1-2 m o anche meno. Inoltre l'aspetto delle fratture non "concoide" mostra secondo il mio parere, un risparmio di cemento. Sarei curioso di una analisi sulla composizione del cls per dimostrare questa mia che non è solo una sensazione, avendo lavorato da geologo con ingegneri con la I maiuscola come Lei. Ci rifletta, e se possibile prelevi un campione e lo analizzi a sue spese! penso proprio di avere individuato una delle cause del crollo oltre alle principali da Lei scoperte.
RispondiEliminami permetto di fare due osservazioni:
RispondiElimina- l'ancoraggio dei tiranti in testa all'antenna non è a mio avviso necessario: l'iniezione tra trefolo e guaina, anche se discontinua (errore costruttivo) è estesa per circa 100 m, e una tale "lunghezza di ancoraggio" è più che sufficiente affinchè si rompa il trefolo ancor prima di scorrere. Quindi in cima alla pila, nel caso di rottura di un tirante, i cavi non scorrono proprio come se fossero ancorati.
- una riduzione della sezione del tirante non comporta una perdita di compressione sulla trave, ma al limite un suo piccolo abbassamento all'estremità. Fin tanto che la tensione sui cavi è inferiore a quella di rottura, la compressione sulla trave dell'impalcato rimane praticamente costante. Ma per quanto ho scritto sopra, un'abbassamento anche piccolo di un lato del ponte induce flessione sulla pila, flessione evidentemente non prevista vista la scarsità di armature.
- va considerato che quando è stato fatto il ponte si aveva uno snodo ferroviario funzionante, il letto di un torrente, una zona edificata, la necessità di ampliare in fretta la rete autostradale con minimi costi, scarse conoscenze sismiche, manodopera a basso costo (quindi manutenzione a basso costo), molta (troppa) fiducia nelle caratteristiche del calcestruzzo, acciaio costoso. La soluzione a mio parere era ottima, viste le condizioni "al contorno".
- i cavi interni al cassone, che dalla foto non sono visibili, come ha detto lei probabilmente sono stati anche loro divorati dalla corrosione, anche io inizialmente pensavo più a una rottura della trave, davo per scontato che i tiranti fossero iper controllati, e invece...
- a mio parere per poter dire che fosse un cattivo progetto, occorre immaginare soluzioni alternative con le stesse condizioni al contorno. Mi viene in mente un ponte in acciaio, più duttile, ma con le stesse o peggiori problematiche di corrosione. Oggi una struttura del genere sarebbe impensabile, sono più che d'accordo, e ricostruirlo così com'era non ha senso, anche perchè le condizioni sono profondamente cambiate.
- Complimenti per la spiegazione!
Mi risulta, dalle notizie apparse sui media, che vi siano altre due strutture gemelle del ponte crollato a Genova. Una ad Agrigento ed una a Roma, lungo l'autostrada per Fiumicino.
RispondiEliminaSe sono presenti dei vizi di fondo nella concezione del viadotto Polcevera, non è probabile che gli stessi vizi siano presenti negli altri due manufatti?
Molto interessante!
RispondiEliminaPraticamente non è un ponte, ma una Formula 1 in calcestruzzo..!
complimenti
RispondiEliminaNC
Analisi condivisibile.
RispondiEliminaSpiegazione chiara ed esauriente, sono pienamente d'accordo sul fatto che le opere devono essere fatte con tutte le valutazioni del caso e non al limite come questo ponte.
RispondiEliminaComplimenti ingegnere, come sempre. Vorrei anche far notare che nelle armature mancano completamente le armature trasversali e la sezione è praticamente priva di confinamento e duttilità sezionale , per cui le barre alla prima compressione dovuta alla flessione si sono instabilizzate sputando fuori il corpiferro, deformando l' unica ed insufficente " staffona" per il cerchiaggio, e infine perdendo ogni aderenza. Che il ponte sia mal progettato lo si intuisce anche solo dal fatto che le barre sono evidentemente sfilate intere e non si sono plasticizzate. Saluti
RispondiElimina